Le pagine di "Oltre al Cielo"; non permettono una lettura superficiale, rapida, scontata.
Gli occhi inciampano su immagini, ricordi o riflessioni che appaiono improvvisi o inaspettati … costringendo a rallentare il ritmo e prestare più attenzione a ciò che si legge.
E non può essere che così, visto che il testo è calibrato su un rovesciamento di prospettiva, su un paesaggio invertito dove la vita è vista a partire dalla morte.
Infatti è dallo sguardo "estraneo";, permesso della morte, che Rino Gaetano chiede che gli sia dato ascolto, che sia riconosciuta la sua voce, che quello che dice sia trascritto. Per raccontare frammenti di un’esperienza e barlumi di ricordi che possono diventare spunti di riflessioni più profonde.
Se il ritrovarsi "dall’altra parte"; genera nel protagonista un sentimento di malinconia, poco a poco si fanno meno confusi i dettagli del luogo in cui si trova e più nitidi i ricordi essenziali della sua vita "da vivo";.
"Vedere la vita nella morte"; diventa un progressivo "avvicinarsi alla casa della consapevolezza";, come dice Rino G. stesso.
E questo prendere coscienza è reso possibile dalla nuova dimensione in cui si trova, in cui "non ci si vede in volto, ma dentro";.
Allora è anche possibile per Rino G. scorgere, con una sorta di perplessità, alcuni aspetti fondamentali di quella che fino a prima era una vita auto-contenuta, senza riferimenti altri. Fino ad arrivare a dire, nella nuova condizione creata dalla morte, "ora sono strano, matto"; e, al contempo, "ora sono vivo";.
E’ un totale capovolgimento nell’anima che cerca di orientarsi dal mondo semi-confuso della vita al mondo semi-lucido della morte. Nella certezza che non tutto ancora è capito e sentito in maniera adeguata … come indica quella "luce debole"; che inonda il paesaggio e che permette solo a fatica di rendere tutto, forse, più chiaro.
[ Claude Rigodanzo ]